Lo studio pubblicato a giugno scorso su Microbiology Spectrum, dimostra il ruolo della glicina nel ripristinare l’efficacia dei farmaci antimicrobici
La glicina, un aminoacido fra i più semplici esistenti nell’organismo umano, potrebbe essere l’arma futura e la più economica per combattere la resistenza antimicrobica, una delle sfide attualmente più difficili in sanità a livello mondiale.
Da uno studio messo a punto in vitro nella sezione dipartimentale di Microbiologia batteriologica dell’Aoup e pubblicato a giugno scorso su Microbiology Spectrum, dal titolo: “Glycine restores the sensivity to antibiotics in multidrug resistant bacteria” (a firma Cesira Giordano e Simona Barnini, direttrice della struttura) è emerso che la glicina, dosata in coltura secondo standard scientifici ben precisi in associazione ad alcune classi di antibiotici fra quelli maggiormente utilizzati contro i batteri MDR (MultiDrug Resistant), ossia betalattamici come i carbapenemi e le cefalosporine, e i polimixinici, è in grado non solo di esprimere la sua potenzialità battericida ma anche di risvegliare la sensibilità dei germi a questi antibiotici.
Ora servono studi in vivo che confermino l’efficacia di questo aminoacido contro le infezioni ma i risultati in vitro lasciano intravedere un possibile antidoto alla multiresistenza batterica e questa sarebbe una vera rivoluzione, oltretutto alla portata anche dei Paesi in via di sviluppo, visto il basso costo della molecola sul mercato.
Lo studio infatti non è stato brevettato proprio per consentire a tutti di beneficiare delle acquisizioni scientifiche emerse. Inoltre, se nella pratica clinica verranno confermate le aspettative della comunità scientifica rispetto a questo straordinario risultato della sperimentazione in vitro, sarà come aver trovato dopo anni una soluzione che era dietro l’angolo. Le caratteristiche della glicina erano infatti già state studiate, come risulta dalla letteratura scientifica nel secolo scorso. Era stato scoperto, fra le altre cose, anche un apparente paradosso, ossia che alcuni aminoacidi, oltre a promuovere la crescita batterica, in dose eccessiva producevano un effetto inibitorio proprio sulla crescita di diverse specie batteriche. Poi il filone di ricerca sulla glicina era stato abbandonato, ben prima della attuale diffusione a livelli spaventosi della multiresistenza batterica che, assieme alle infezioni nosocomiali, è la vera emergenza sanitaria mondiale sia per i Paesi ad alto reddito che in quelli in via di sviluppo, tanto che viene spesso definita “la pandemia silente”.
L’Italia è tra i Paesi occidentali dove la resistenza antimicrobica è più diffusa e in Toscana sono ormai presenti a livello endemico enterobatteri (normalmente ospiti nella flora intestinale) che hanno sviluppato multiple resistenze ai farmaci. Fra questi, Klebsiella pneumonia Kpc (enterobatterio produttore di carbapenemasi, un enzima che provoca resistenza agli antibiotici carbapenemi), la Klebsiella pneumoniae Mbl (produttrice di metallo-β-lattamasi, anche questi enzimi, come NDM (New Delhi Metallo beta-lattamasi) responsabili di resistenza a molti tipi di antibiotici, fra cui anche quelli di ultima generazione. Un contesto insomma preoccupante, da autentica emergenza sanitaria, specie in caso di pazienti con sepsi o shock settico, data l’importanza del fattore tempo nella scelta di una terapia antibiotica mirata che non incontri resistenze, per ottenere una prognosi favorevole. La sepsi è una patologia misconosciuta, ma non per questo poco diffusa: ogni anno miete, nella nostra regione, più vittime dell’infarto e dell’ictus insieme, che invece sono ben noti a tutti.
“Con il diffondersi dell’antimicrobico resistenza – dichiara Simona Barnini – questi dati non faranno che peggiorare: ogni tipo di infezione avrà una elevata probabilità di sfociare in una sepsi, perché non opportunamente controllata dalla terapia appropriata. Sono ormai 10 anni che dalle pagine di Lancet fu lanciato l’allarme: si prevedeva che nel 2050 i morti per malattia infettiva provocata da batteri multi resistenti avrebbero raggiunto i 10 milioni di persone ogni anno, nel mondo, con costi astronomici sia in termini economici che sociali. Nel 2019, l’Organizzazione mondiale della sanità ha calcolato 1,27 milioni di morti direttamente attribuibili all’antimicrobico-resistenza e altri 5 milioni di morti correlate a questa. A questo quadro sconfortante, che ci riporta a epoche storiche pre-antibiotiche (e occorre ricordare che Fleming scoprì la penicillina meno di un secolo fa) – conclude – va aggiunta una riflessione sui progressi fatti in medicina, come quelli relativi ai trapianti e alle cure oncologiche, progressi enormi che rischiano di essere cancellati da una comune infezione, che non può più essere curata da un comune antibiotico”.
Leggendo pertanto antichi resoconti sugli effetti della glicina sulla crescita batterica, le ricercatrici della Microbiologia ospedaliera dell’Aoup hanno deciso di studiarne l’azione sui “nuovi” batteri, che di nuovo hanno avuto l’esposizione ai farmaci antibiotici, cosa che non era ancora accaduta ai ceppi batterici studiati nel secolo scorso. Le prime prove eseguite hanno messo in luce, oltre agli effetti descritti molti anni fa, il ripristino della sensibilità ad antibiotici che risultavano inefficaci, prima di somministrare glicina. Lo studio è stato allora ampliato, per valutare: 1) l’effetto della glicina su diversi batteri patogeni isolati da campioni clinici durante l’attività diagnostica; 2) la concentrazione minima inibente di glicina e il tipo di attività svolta (batteriostatica o battericida) su isolati batterici; 3) l’interazione tra glicina e meropenem (carbapenemico), cefiderocol (cefalosporina) o colistina (polimixinico).
I dati riportati hanno mostrato un’attività dose-dipendente della glicina sui batteri e il suo effetto battericida sui batteri MDR. Inoltre, è emerso appunto che la glicina ripristina in vitro la sensibilità agli antibiotici testati da parte dei patogeni nosocomiali multiresistenti.
“Nel corso dei vari esperimenti condotti su ceppi batterici isolati da resti di campioni prelevati in pazienti ricoverati in ospedale – spiega Cesira Giordano – rispettando l’anonimato, sono stati studiati 154 batteri patogeni, scelti per le loro caratteristiche di resistenza agli antibiotici. Nel dettaglio, 10 isolati di Escherichia coli, 10 di Proteus mirabilis, 4 di Proteus vulgaris, 6 di Morganella morganii, 1 di Raoultella ornithinolytica, 60 di Klebsiella pneumoniae, 7 di Acinetobacter baumannii, 4 di Klebsiella oxytoca, 10 di Pseudomonas aeruginosa, 10 di Stenotrophomonas maltophilia, 10 di Enterobacter cloacae, 5 di Enterobacter aerogenes, 6 di Citrobacter freundii, 10 di Serratia marcescens, 1 di Yersinia enterocolitica e 1 di Enterococcus faecalis resistente ai glicopeptidi. L’efficacia della glicina, sia da sola che in combinazione con gli antibiotici – conclude – è stata accertata su tutti i microrganismi saggiati”.
Per il prossimo futuro, si pensa di procedere alla sperimentazione in vivo, direttamente sull’uomo, dato che si tratta di un aminoacido normalmente assunto con l’alimentazione e prodotto anche dall’organismo.
L’azione battericida sembra sia dovuta all’effetto di questa molecola sulla parete batterica, un costituente cellulare posseduto soltanto dai batteri.
L’impiego della glicina nella pratica clinica, oltre a permettere di risolvere infezioni gravi, in associazione ad antibiotici che altrimenti sarebbero inefficaci, consentirebbe anche di prevenire le infezioni, eliminando i potenziali patogeni che colonizzano i pazienti che devono andare incontro ad interventi chirurgici, ad indagini diagnostiche invasive, a trapianti (edm).
FONTE: TOSCANA NOTIZIE