Il loggiato dell’Accademia di Belle Arti in piazza San Marco raccontava amori e passioni politiche con i suoi graffiti e gli slogan
Il loggiato dell’Accademia di Belle Arti in piazza San Marco raccontava amori e passioni politiche con i suoi graffiti e gli slogan, nel disegno di una Firenze inquieta, vivace, desiderosa di aprirsi al nuovo e tutta da vivere, creativa nel suo modo garbato e unico, lontana dalle inquietudini milanesi dove mode e tendenze acceleravano giorni affamati di cambiamento.
“Gli anni belli” del pittore ed incisore Luca Macchi, edito da ETS e presentato dall’autore nella sede della Giunta regionale toscana a palazzo Sacrati Strozzi assieme alla presidente dell’Accademia delle arti del disegno Cristina Acidini e al professor Carlo Sisi, presidente dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, restituisce in una sintesi asciutta ed efficace l’ambiente ed il tempo della sua formazione artistica fra le torri di san Miniato e la cupola di Santa Maria del Fiore agli inizi degli anni ottanta, condensato in brevi pagine che si aprono a suggestioni e ricordi tratteggiati, scritti e disegnati con la cura che si dedica alle cose importanti riscoperte dopo molti anni.
“Queste pagine – afferma Giani – non sono solo la testimonianza di un percorso formativo e dello spessore della didattica dell’Accademia di Belle Arti che nel tempo ha conservato tutto il suo alto profilo, ma descrivono in modo penetrante l’atmosfera della Toscana di quegli anni con un’attenzione particolare a quei dettagli d’ambiente, i più minuti, utilissimi a restituire il particolare clima di quei giorni rendendolo, in qualche modo, familiare anche a chi non l’ha direttamente vissuto e desidera farsene un’idea genuina e senza stereotipi”
Dal manifesto della sua prima esposizione, ritrovato come spesso accade mentre si fa ordine fra quel che il tempo ha depositato fra librerie e scaffali, nasce lo spunto per mettere in fila i giorni fatti di viaggi in treno fra San Miniato e Firenze, in un tempo scandito dall’orario ferroviario e dal binario due della stazione di Santa Maria Novella che alle quattordici e ventidue si apriva in un mondo e animato da strade, vicoli, ricordi, maestri di studi, tracce di musica che mai come in quegli anni scandivano compagnie, solidarietà, scelte e affiliazioni, fra l’elettronica dei New Order e Fabrizio De Andrè, dove le note guidavano, anche solo per un attimo, mani e pennelli assieme alle lezioni dei professori. Firenze formava nel gusto e nelle attitudini, negli interessi, nei modi di vedere le cose, senza avere mai la prepotenza di imporre.
“Nel tragitto ferroviario fra San Miniato e Firenze descritto da Macchi – sottolinea Carlo Sisi – si legge in filigrana tutta la sensibilità dell’artista che serve a vedere le cose e riesce a cogliere dai finestrini del treno i cambiamenti di luce e di prospettiva e nel suo racconto delle ore passate nelle aule il rumore, l’eco delle stanze dell’Accademia e le presenze di Silvio Loffredo e Fernando Farulli. Tasselli di un mosaico culturale che ritrae la Firenze di quegli anni.”
“Firenze era una straordinaria finestra verso il mondo – ricorda Macchi – che rendeva tangibile e visibile l’arte vista e letta solo nei libri. Una città ricca e piena di punti di riferimento culturali che mi ha offerto l’occasione di incontri indimenticabili, come quelli con Mario Luzi e Piero Santi, persone che hanno lasciato una traccia indelebile assieme a molti altri. Erano i giorni di un’Accademia dove si passava tutto il tempo a disposizione a dipingere e tutto era basato sulla manualità”
C’è odore di stampa e inchiostro nel tragitto di Macchi lungo il mercato di san Lorenzo, via Ricasoli, via dei Pucci, la piazzetta del Conservatorio, verso le lezioni tenute da Andrea Gennari, Riccardo Saldarelli, Renzo Federici che insegnava Storia delle avanguardie e le amicizie importanti con chi studiava altre discipline in aule universitarie diverse e portava i suoi interessi e la sua sensibilità ad arricchire un ambiente studentesco affamato anche di “altro”: cinema, teatro letteratura, in una formazione interdisciplinare eclettica e appassionata.
“Macchi – aggiunge Cristina Acidini – ha riversato nelle sue pagine tutte le suggestioni ed i rimandi che il ritrovamento di un oggetto dimenticato può suscitare in una sorta di madeleine proustiana, nella memoria involontaria che riporta nel presente colori, presenze, ambienti e ricordi sempre presenti”
Importanti, quegli anni.