Sono gli anni, dal 1931 al 1938, delle “schedature”, delle liste dei non allineati ai dettami del regime, della marginalizzazione dei “tiepidi” e persecuzione aperta degli oppositori, fino alla discriminazione dei senatori e docenti di razza ebraica estesa a tutti i cittadini italiani
Le dittature affermano se stesse nel tempo e lo usano con feroce metodo per ridurre al silenzio qualsiasi forma di dissenso.
Le pagine scritte da Pierpaolo Ianni sono appunto il puntuale e documentato resoconto del percorso che, dal delitto Matteotti alla promulgazione delle leggi razziali, il regime di Mussolini intraprende verso la completa “fascistizzazione” dello Stato, sintetizzato nel volume “l’Arduo cammino della coscienza” presentato a Firenze a palazzo Strozzi Sacrati dall’autore assieme al presidente della Regione Giani, Paola Gargiulo, responsabile della segreteria della senatrice a vita Liliana Segre, Giampiero Buonomo, responsabile dell’Archivio storico del Senato ed agli storici Antonella Amico e Luciano Zani.
“Il lavoro che ha portato alla stesura del libro è stato lungo è difficile – racconta Ianni – ed è iniziato nel 2013 aprendo alcuni faldoni dell’Archivio del Senato del Repubblica. alla ricerca di materiale nuovo ed inedito sul “giuramento rifiutato” al fascismo. La ricerca si è concentrata in modo particolare sugli accademici che, essendo anche senatori in una Camera che allora non era elettiva ma di nomina regia, non potevano essere dichiarati decaduti. Questo consentì allora la permanenza all’interno del all’interno delle istituzioni di una piccola pattuglia di “irriducibili” protagonisti di una storia che chiarisce tutta la pervasività e la violenza di un regime”.
Come scrive Liliana Segre nella sua prefazione “..il volume permette di valutare tanto le modalità brutali dello stato totalitario, quanto i drammi personali di alcune delle figure più eminenti della storia intellettuale del novecento”. Il primo riferimento per queste ultime va agli accademici e nello stesso tempo senatori del Regno che rifiutarono il giuramento di fedeltà al fascismo come Vito Volterra, Francesco Ruffini e Nino Tamassia.
Nomi di persone che nella loro carica istituzionale e nelle aule universitarie affrontarono l’isolamento, l’indifferenza e le pressioni alle quali furono sottoposti per affermare quei princìpi di onestà intellettuale e dirittura morale che sentivano di non poter negare di fronte ai cittadini ed ai loro allievi.
Sono gli anni, dal 1931 al 1938, delle “schedature”, delle liste dei non allineati ai dettami del regime, della marginalizzazione dei “tiepidi” e persecuzione aperta degli oppositori, fino alla discriminazione dei senatori e docenti di razza ebraica estesa a tutti i cittadini italiani.
Non si trattava di semplici formalità o di una firma su un foglio qualsiasi: si chiedeva la piena adesione ad una ideologia e un giuramento pronunciato in ginocchio con la mano destra poggiata sul Nuovo Testamento.
L’Agenzia Stefani, fonte ufficiale della propaganda fascista, conta undici professori fra i riottosi ed i nomi verranno resi noti sul Manifesto della razza solo sette anni più tardi: fra questi spicca il futuro premio Nobel Rita Levi Montalcini, allora assistente alla Regia Università di Torino, “sospesa dal servizio, a decorrere dal 16 ottobre 1938 XVI” come si ha modo di leggere nel suo fascicolo universitario personale.
L’elenco dei professori dissidenti era in realtà più lungo e non comprendeva quanti scelsero di anticipare il rifiuto abbandonando l’attività accademica, come Leone Ginzburg e Gaetano Salvemini che scrisse al rettore dell’Università di Firenze nella sua lettera dimissioni di poter tornare all’insegnamento solo “quando avremo riacquistato un governo civile”.
“Se quei “no”, a fronte di difficoltà ed enormi sacrifici fossero stati di più – aggiunge Ianni – e altri fra i 1225 professori universitari avessero rifiutato il giuramento la storia del regime fascista avrebbe probabilmente avuto esiti diversi, proprio per quella luce di discredito che il loro dissenso avrebbe avuto a livello nazionale ed anche internazionale”.
Il libro – sottolinea Giani – è un contributo significativo ed aiuta ad illuminare uno dei momenti chiave, spesso sottovalutati, dell’evoluzione del fascismo nell’arco del ventennio, assieme al delitto Matteotti ed alla firma delle leggi razziali, esprimendo la chiara volontà del regime di mettere a tacere le voci dei riformisti e di quanti, per il credito ed il prestigio guadagnato presso l’opinione pubblica e gli ambienti culturali italiani, potevano rappresentare un’opposizione credibile alla dittatura e mostrarne il volto più illiberale e violento nella negazione della libertà di espressione e di insegnamento”.
Nel volume di Pierpaolo Ianni ci sono idee, nomi e storie, come quelle di Gaetano de Sanctis, professore e senatore a vita ed Elio Morpurgo, vittima dell’olocausto nazifascista, che compongono nel loro insieme le fondamenta dei valori del nostro Stato democratico e della Costituzione.
L’attualità del loro pensiero continua ad essere d’ispirazione anche in questi giorni difficili di guerre e libertà negate.