Secondo quanto riporta “The Guardian” si tratterebbe di un attacco hacker, ma la centrale sotto osservazione non è affatto nuova a situazioni catastrofiche
Un grave incidente nucleare si è da poco verificato in Inghilterra, presso l’area di Sellafield (o Windscale), sito nucleare multifunzionale più grande d’Europa situato vicino a Seascale, sulla costa Cumbria inglese.
Sellafield è un sito di processamento e stoccaggio di scorie distribuito su 265 ettari, comprendente 200 strutture destinate alla lavorazione o smaltimento di materiale radioattivo, e circa 1000 strutture destinate ad altro utilizzo. Prima della pandemia contava almeno 10.000 lavoratori
Nato come fabbrica militare nel 1942 divenne industria per la produzione del plutonio necessario alla costruzione dell’arsenale nucleare, alla quale venne annessa successivamente la prima piattaforma commerciale per la distribuzione di energia elettrica di origine nucleare, grazie all’impianto di prima generazione “Calder Hall”.
Oggi sotto il controllo del governo inglese, è stato per molti anni a regime privatizzato.
Dal 1950 al 2000 ci sono stati 21 gravi incidenti a seguito della dispersione di materiale radioattivo, e tra il ‘50 e il ‘60 ci sono stati diversi periodi ufficializzati in cui è stata constatata la dispersione di ossido d’uranio nell’atmosfera, oltre alle ormai conclamate dispersioni di scorie nelle reti idriche con sfogo verso il mar irlandese durante la 2° Guerra Mondiale.
Il più disastroso incidente registrato avvenne nel ‘57, con l’incendio dei piloni Windscale, ritenuto uno dei peggiori incidenti nucleari mai accaduti. L’incendio si è propagato nelle aree di produzione del plutonio, causando una catastrofica dispersione atmosferica di iodio-131, in grado di provocare il cancro alla tiroide, e di polonio-210, isotopo ancor più pericoloso.
L’incidente fu minimizzato dal governo inglese e tutti i dati relativi all’evento sottoposti a pesante censura, per non creare attriti riguardo alle relazioni in ambito nucleare con gli americani; solo nel 1983 i dati sarebbero stati ufficialmente riconosciuti dall’Inghilterra.
I successivi incidenti sarebbero stati poi classificati a minor rischio, secondo la scala internazionale degli eventi nucleari; in particolar modo è stato registrato, dall’83 in poi, un progressivo deterioramento delle strutture di contenimento del materiale radioattivo, oltre a falsificazioni sui dati di supervisione e controllo (definiti da un operaio “virtualmente inesistenti”) e decine di morti tra i lavoratori mai ufficializzate.
Veniamo dunque al dicembre 2023, il mese corrente: come riporta The Guardian, un possibile attacco hacker da forze vicine a Cina e Russia avrebbe comportato una consistente perdita di materiale dal silo “Magnox”. Non è dato sapere né se il malware responsabile del malfunzionamento sia stato rimosso né le intenzioni dietro all’attacco, e neppure quali saranno gli effetti a lungo termine di questo nuovo incidente.
Alcuni scienziati sono al lavoro per stilare un modello statistico in grado di calcolare l’entità dei danni, anche se, dalle prime indiscrezioni, questi si protrarranno fino ad almeno il 2050.