Renzo Pacini, microbiologo e appassionato di rugby, presenta il suo nuovo libro e condivide riflessioni sul legame tra lo sport e la vita
Renzo Pacini è nato a Livorno nel 1950. Ha esercitato la professione di microbiologo per quarant’anni ed è sempre stato vicino al mondo del rugby, come appassionato e come dirigente accompagnatore anche della prima squadra della Lundax Lions Amaranto.
Uscirà alla fine della prossima settimana e sarà a disposizione degli sportivi, presso la segreteria della LundaX Lions Amaranto, presso l’impianto Priami di Stagno, il nuovo libro di Renzo Pacini, scritto a quattro mani con Fabio Giorgi, nel quale si parla, ovviamente, di rugby, dal titolo “Anatomia di un terzo tempo – Il romanzo e la cronaca”, che segue il romanzo “Nel terzo tempo”, uscito nel 2018 per Edizioni del Boccale, presentato anche in occasione di partite importanti della Nazionale Italiana di Rugby ed esposto persino al “Museo del rugby, fango e sudore” di Artena, dove sono in mostra moltissimi cimeli storici del rugby italiano e internazionale.
Abbiamo fatto qualche domanda a Renzo per scoprire qualcosa in più.
Questo è il secondo romanzo, dopo “Nel terzo tempo”, che ha come protagonista il rugby: come nasce il suo legame con la palla ovale? E che significato ha?
“Il mio legame con il rugby nasce, come per tanti genitori travolti nella mischia, quando questo sport da un giorno a un altro ha coinvolto ambedue i miei figli. Anche di questo ho voluto parlare sia nel precedente che in questo romanzo.
Ho voluto far vedere al lettore le varie strade che portano le persone ad avvicinarsi al rugby portando alcuni casi paradigmatici e parlando del senso di proselitismo che accomuna i suoi appassionati e che si manifesta in modo evidente e maggiore continuità ed efficacia rispetto ad altri sport. Fu la passione del mio primo figlio, Diego, che mi contaminò per prima. Si avvicinò al rugby grazie a Paolo Ciolli, che ha avviato molti atleti livornesi di successo: lui lo incontrò a scuola e lo portò al campo. Fu così che Diego iniziò ad innamorarsi di questo sport, e a ruota anche io.
Anche Francesco, il secondo, fu avviato alla palla ovale dal Professor Ciolli e con lui, che ha fatto per molti anni il capitano dei Lions, il mio legame si è intensificato e mi ha visto assumere l’incarico di dirigente accompagnatore che mi ha dato l’occasione di vivere questo sport più da vicino”.
“Anatomia di un terzo tempo – Il romanzo e la cronaca”: una breve anticipazione del libro per i lettori.
“Questo libro segue il mio libro precedente “Nel terzo tempo”, scritto ai tempi in cui ero dirigente accompagnatore, dove raccontai di una partita fra i Lions Amaranto e il Gubbio concentrandomi non solo sulle fasi di gioco, fra l’altro condite con molta fantasia, ma anche sull’intera trasferta, dal viaggio in pullman con partenza a ore antelucane e sul terzo tempo in terra eugubina.
Ho voluto raccontare come si muovono i tanti attori del mondo del rugby, dentro e fuori dal campo. In quel libro volli parlare fortemente dell’inclusività che c’è in questo sport e nella storia collocai alcuni personaggi in particolare: un ragazzo che diviene paraplegico per un infortunio sul campo, un altro che scopre sé stesso e la sua omosessualità, ed un altro ancora che in tarda età ritroverà un amore di gioventù ma dovrà lasciarlo andare facendo prevalere su questo amore fuori tempo il senso di responsabilità; queste storie emergono mentre la trasferta va avanti dal racconto che nasce attraverso lo sguardo di un dirigente sportivo. I personaggi che ho menzionato non sono presenti alla partita a Gubbio ma agiscono dietro le quinte.
Veniamo al libro odierno. L’idea è stata quella di fare un remake del libro ambientato a Gubbio quasi venticinque anni fa, semplificandone la trama ma senza sacrificare gli elementi della solidarietà e dell’inclusione che anche stavolta emergono fortemente, per quanto la storia nel libro odierno, seppur dando grande spazio alla fantasia, si soffermi di più sulla cronaca della partita. Anche perché lo scopo di “Anatomia di un terzo tempo” è quello di contrapporre alla visione fantasiosa del romanziere (io stesso) la telecronaca, veritiera e giornalistica, fatta da Fabio Giorgi, della partita a Gubbio del 22 ottobre 2023, frutto della professionalità del giornalista che descrive la partita dal punto di vista oggettivo. L’immagine sfocata e fantasiosa del romanzo viene dunque messa di fronte a uno specchio che restituisce quella nitida e veritiera della cronaca, in una vera e propria operazione anatomica, che riesce a scovare contrasti e analogie.
Ci saranno piccole interviste agli allenatori e molto altro per implementare la storia”.
C’è un passaggio in particolare del libro che è stato più complesso da scrivere?
“Il mondo del rugby è un mondo a parte che affascina e incuriosisce tutti. I suoi valori sono unici e i comportamenti che a essi si richiamano lo stesso.
E di questo che ho voluto parlare. Spero di essere riuscito ad inserire questi elementi sentimentali per me molto importanti senza fare retorica. Il sostegno e il supporto che ci sono fra i giocatori all’interno del mondo del rugby si imparano in campo ma rimangono nella vita.
Partendo da esso ho voluto sottolineare come esso nutre la solidarietà e l’inclusività che si vive nello sport e che esonda nella vita di tutti i giorni. I personaggi sono tutti immaginari tranne uno: Fabrizio Torsi.
Ho parlato di questo uomo di grande spessore umano perché, come nel romanzo, anche nella vita aiuta, attraverso la sua associazione, chi ha la disgrazia di trovarsi scaraventato nella condizione di paraplegia, ma anche colpito da altri eventi invalidanti, accompagnandolo nel lungo e doloroso percorso di riconquista dell’autonomia.
Di lui ho voluto menzionare nome e cognome al fine di premiarlo per quello che fa a Livorno con la sua associazione e anche perché mi ha aiutato a capire come una persona infortunata piano piano possa riuscire ad acquisire di nuovo l’autonomia.
Quando ho trattato l’argomento (l’infortunio, il recupero, le giornate di disperazione, come lui descrive la sua sofferenza) mi sono commosso, così come mi commuovo tuttora raccontandolo. Il cammino che compie il personaggio di ambedue i romanzi, che si chiama Claudio, è una vera e propria marcia trionfale, da eroe, quella di una persona che riesce a recuperare risorse sconosciute per riconquistare la piena abilità.
Nonostante i lunghi anni spesi sul campo, e la mia professione di sanitario, non sono mai riuscito a vincere l’ansia derivante dall’assistere agli infortuni ricorrenti che mi hanno coinvolto quando ero dirigente, dovendo intervenire per garantirne il giusto trattamento da parte del personale preposto e a volte anche accompagnando i ragazzi all’ospedale”.
Chi, secondo lei, dovrebbe leggerlo? A chi lo consiglierebbe?
“È superfluo dire che consiglierei di leggere il libro agli amanti del rugby perché loro possono specchiarcisi dentro, trovandoci passaggi anche scontati come pure rilevando nel comportamento dei protagonisti concetti e sentimenti che pur sentendo e condividendo non avrebbero saputo esprimere e che io in qualche modo ho provato ad esprimere per loro.
Ho portato il mio libro precedente “Nel terzo tempo” in tutta Italia, anche in occasione delle partite della Nazionale e delle Zebre; sono stato intervistato in sala stampa assieme ai capitani delle squadre. C’è, anche per questo, stata molta risonanza e successivamente, con il passaparola, il libro è arrivato anche all’estero: in Argentina, in Galles e in Australia, ovviamente in lingua originale, grazie al fatto che in questi paesi ci sono molte comunità di italiani.
Il libro però lo vedo adatto anche a chi non conosce il rugby, ma ne ama la spettacolarità e l’originalità: soprattutto lo farei leggere ai ragazzi nelle scuole, per far conoscere anche gli aspetti introspettivi e psicologici dello sport, non solo quelli fisici.
Il rugby è uno sport dove la paura è sempre in equilibrio con il divertimento e gli sport che hanno queste caratteristiche ti affascinano e ti rendono orgoglioso di aver superato le tue paure.
Infine ho parlato anche degli “eroi” quotidiani del rugby: chi porta a lavare le maglie in lavanderia, chi lava i piatti ai terzi tempi, chi accompagna i ragazzi nelle lunghe trasferte, chi traccia i campi con il gesso. Sono tutte persone che hanno la stessa importanza dell’allenatore o del presidente”.
Come lo sport, e in particolare il rugby, può essere utile per i giovani di oggi? Quali sono i valori che dovrebbe insegnare e promuovere?
“Credo che l’elemento principale che differenzia questo sport dagli altri sia l’apertura alle diversità, il fatto che tutti siano utili all’interno di una squadra, il che è anche una necessità fisiologica perché risponde al bisogno che questo sport ha di mettere in campo (e in panchina) un numero elevato di atleti con costituzione fisica diversa, così come attitudini psicologiche e tattiche diverse.
Tutti sono necessari e il sostegno è fondamentale sia in difesa che in attacco. I campioni fanno sempre bene ma devono essere contornati da un organico che li faccia esprimere, altrimenti non sarebbero produttivi.
E’ per questo che i ragazzi vengono educati al sostegno, che si manifesta sia dentro che fuori dal campo. Per questo questa passione e così forte, duratura e condivisa. La condivisione di una passione che non ho visto mai in altri sport di squadra o individuali”.