Un detenuto noto per la sua indole aggressiva ha attaccato un Agente di Polizia Penitenziaria durante un tentativo di controllo
Resta alta la tensione nel carcere di Livorno, dove oggi si è verificato un grave atto di violenza. La notizia arriva dal Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPe, per voce del segretario regionale della Toscana Francesco Oliviero: “Ancora violenze nel carcere labronico.
Un detenuto italiano, conosciuto negli istituti penitenziari per la sua indole violenta ed aggressiva. non ha aspettato molto a mostrarsi tale anche a Livorno.
A pagarne le spese un Agente che, nell’espletamento del suo servizio, chiedeva semplicemente al detenuto di rientrare nella sua cella e, come risposta, ha ottenuto solo calci”.
“La situazione nel carcere di Livorno è critica”, denuncia Oliviero: “ci si aspetta forse un gesto ancora più violento ed eclatante affinché qualcuno possa intervenire, dimenticando che chi opera all’interno degli istituti sono uomini e donne che rischiano la vita ogni giorno per garantire la sicurezza in un carcere come quello di Livorno che ospita anche un congruo numero di detenuti Alta Sicurezza”.
Donato Capece, segretario generale del SAPPE, esprime solidarietà al poliziotto contuso a Livorno ed è impietoso nella sua denuncia: “Siamo preoccupati dall’alto numero di eventi critici che si registrano ogni giorno nelle carceri toscane: e siamo sconcertati dall’assenza di provvedimenti in merito contro chi si rende responsabile di queste inaccettabili violenze, determinando quasi un effetto emulazione per gli altri ristretti violenti. Aggressioni, colluttazioni, ferimenti contro il personale, così come le risse ed i tentati suicidi, sono purtroppo all’ordine del giorno.
È per noi importante e urgente prevedere un nuovo modello custodiale ed è necessario intervenire con urgenza”. Per Capece non c’è più tempo da perdere: “servono interventi urgenti e strutturali che restituiscano la giusta legalità al circuito penitenziario intervenendo in primis sul regime custodiale aperto. La via più netta e radicale per eliminare tutti questi disagi sarebbe quella di un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere: certo non indulti o amnistie”.