Ribaltato il taglio voluto da M5S nel 2018. La delibera è già travolta dalle polemiche
Il tema dei vitalizi, o pensioni d’oro che dir si voglia, ha tenuto banco per anni grazie anche all’agenda politica ed elettorale del Movimento 5 Stelle, che nell’ormai lontanissimo 2018 riuscì in Senato a rendere il calcolo delle molto più che generose pensioni di senatori e loro congiunti sotto il profilo contributivo, e non più retributivo. Ma che cosa significa?
Con il calcolo retributivo, una pensione sarà corrisposta in base a quanto si è guadagnato mensilmente; con il contributivo, invece, la mensilità verrà ricalcolata sulla base dei contributi effettivamente versati, un po’ come succede ai comuni mortali.
Dunque, se si poteva considerare il sistema retributivo alla stregua di una forma di parassitismo sociale, la delibera a firma M5S del 2018, che imponeva il passaggio dall’uno all’altro sistema in maniera retroattiva, restituiva una patina di decoro alla pratica universalmente detestata dei vitalizi politici.
Invece no, si torna indietro.
E lo si fa in modo tatticamente ineccepibile: Il Consiglio di Garanzia del Senato ha infatti deliberato il ritorno al sistema retributivo durante una seduta lampo, con voto contrario di FdI e Lega, favorevole di Gruppo Misto e del Presidente del succitato Consiglio di Garanzia Luigi Vitali, e l’astensione del PD.
Un totale corto circuito.
O almeno così parrebbe. Volendo analizzare, bisogna sapere che in caso di parità il voto del Presidente Vitali vale doppio, di conseguenza il vero ago della bilancia in questo caso è stata l’astensione del PD, nella persona della senatrice Valeria Valente.
Ne escono lindi e non lesi nell’immagine Fdi e Lega, rappresentati rispettivamente da Alberto Balboni e Pasquale Pepe, mentre Ugo Grassi, prima M5S, poi Lega e infine Gruppo Misto, si conferma vero e proprio agente del caos.
E volendo spaccare il capello in quattro, c’è da sottolineare come questa delibera, accolta con esultanza da quella platea di senatori ed ex tali che si vedranno rinverditi i già generosi compensi, arriva proprio a un soffio dall’entrata in pensione dell’azzurro Luigi Vitali, fautore vero della delibera che afferma come sia stato “ripristinato lo stato di diritto, laddove il precedente taglio aveva diminuito le pensioni di alcuni senatori persino del 60-70%”.
Al di là della pronuncia della Corte di Cassazione, che ha imposto la temporaneità di questa delibera fino alla prossima legislatura, è evidente come non sia stato sollevato il problema del conflitto di interessi: per intendersi, è un po’ come se un qualsiasi lavoratore del settore pubblico potesse decidere in autonomia quale sarà il proprio trattamento economico.
Questa delibera va dunque a reintegrare l’inviso e pesante vitalizio a 851 ex senatori e 444 loro familiari, che si vedranno versare tutti gli arretrati a questo punto spettanti a partire dal 2012; di fatto si tratta di una spesa di circa 40 milioni di euro annui.
Per quanto i difensori del vitalizio cerchino di sottolineare che 40 milioni all’anno non rappresentino un grave peso specifico sul bilancio statale, questo accade nell’epoca in cui milioni di lavoratori vivono al pari, se non al di sotto, della soglia di povertà, la disoccupazione continua a dilagare e la forbice sociale e generazionale sempre più larga.