Accusati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro ai danni di braccianti agricoli operanti nelle campagne delle province di Livorno e Pisa
Si tratta degli esiti di un’articolata attività di indagine, diretta dalla Procura di Livorno e condotta dalla Squadra Mobile livornese e dal Commissariato di Piombino, che ha consentito di raccogliere gravi indizi di colpevolezza nei confronti di due fratelli pakistani, rispettivamente di 50 e 45 anni, accusati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (c.d. “CAPORALATO”) ai danni di braccianti agricoli operanti nelle campagne delle province di Livorno e Pisa.
L’indagine fu avviata nel luglio 2020 a seguito della denuncia sporta da un operaio agricolo di nazionalità pakistana per un grave infortunio sul lavoro: mentre era intento a collocare sopra un trattore alcune casse di meloni, si era procurato la parziale amputazione di una falange della mano sinistra. Per “depistare” ed evitare l’intervento delle Forze di Polizia, sul referto medico sarebbe stato fatto indicare, da un uomo che aveva accompagnato la vittima (che non parlava italiano) in ospedale, che questi si era procurato l’amputazione mentre “trinciava il pollo”.
Dall’attività investigativa, protrattasi per diversi mesi, è emerso che una società di lavoro interinale, rappresentata dai due fratelli pakistani, avrebbe fornito alle varie aziende agricole, dislocate sul territorio della provincia livornese (non coinvolte nell’indagine), “braccianti”, prevalentemente loro connazionali, destinati a prestare la loro opera lavorativa, di raccolta ortaggi e frutta, in regime di estremo disagio, lavorando per 10 ore al giorno, sette giorni su sette, con una paga giornaliera pari a 5 euro orarie e senza alcun versamento di contributi previdenziali all’INPS, così come anche verificato nel corso di un accertamento svolto dall’Ispettorato del Lavoro.
Nessuno degli operai agricoli sarebbe stato dotato di presidi di protezione individuale, né di mascherine e disinfettante, circostanza di particolare rilievo visto che operavano, in piena pandemia, a stretto contatto tra loro.
Nel corso di un controllo di Polizia, svolto durante l’attività di indagine, nel novembre 2020, venivano identificati molti dei cittadini pakistani utilizzati nei campi, che vivevano all’interno di diverse abitazioni, ubicate tra Piombino e Campiglia Marittima, risultate fatiscenti e in pessime condizioni igienico/sanitarie.
Alcune foto scattate nel corso del sopralluogo all’interno degli immobili dove risiedevano gli operai agricoli:
risiedevano gli operai agricoli
risiedevano gli operai agricoli
risiedevano gli operai agricoli
risiedevano gli operai agricoli
In una occasione, ad esempio, si trattava di un fondo ad uso commerciale, composto da un solo locale con bagno, privo di riscaldamento, dove vivevano ammassate 5 persone, mentre in un altro immobile, sono state trovate 7 persone, che dimoravano in una abitazione composta da una camera, una cucina ed un solo servizio igienico.
I due indagati, che per il solo alloggio avrebbero preteso da ogni connazionale la somma di 150 euro, decurtata dalla già esigua paga mensile, avrebbero approfittato dello stato di necessità e di inferiorità psicologica in cui i braccianti si trovavano, in quanto assolutamente “vulnerabili” perché spinti dall’indigenza e di conseguenza facilmente soggiogabili. In caso di “disubbidienza” dei lavoranti o nell’ipotesi che qualcuno avesse voluto far valere i propri diritti, i “Capi” li avrebbero minacciati di far perdere loro il posto di lavoro, e di conseguenza anche l’alloggio che li ospitava.
Alla luce dei gravi indizi a loro carico, il G.I.P. del Tribunale di Livorno aveva disposto, nel gennaio 2022, nei confronti dei due fratelli, la misura cautelare degli arresti domiciliari; il 50enne fu subito rintracciato dagli investigatori, mentre il fratello minore, che era riuscito a partire per il Pakistan prima dell’emissione della misura cautelare, è stato tratto in arresto, nei giorni scorsi, al rientro in Italia dal personale della Polizia di Frontiera in servizio presso l’aeroporto Galileo Galilei di Pisa.
FONTE: QUESTURA DI LIVORNO