Il fallimento della nostra migliore industria spiegato dalle nuove generazioni
La grande onda del cambiamento che sta investendo il mondo del lavoro è ormai sotto gli occhi di tutti. A partire dal 2008, anno in cui ormai ufficializziamo l’inizio della moderna recessione (col senno di poi era cominciata già prima) abbiamo assistito ad un declino drammatico delle condizioni sia salariali che umane in ambito lavorativo, e questo è vero tanto per i “vecchi” che per le nuove leve.
Iniziamo pure con la mia personale esperienza da millenial (‘80-’96): la mia generazione si è trovata ad affrontare il peggior tritacarne del nuovo secolo. Tra offerte di lavoro mendaci, paghe al ribasso per orari usuranti e aziende estremamente creative in quanto a nuovi prototipi di sfruttamento, molti come me ne sono usciti con le ossa rotte e adesso senza alcuna tutela, in quanto di qualche anno non più giovani e quindi al di fuori di ogni novello decreto legge. Eppure la gavetta l’abbiamo fatta, più di quei signori che dicono d’averla fatta a loro volta negli anni in cui pure aveva avuto un senso, visto che una volta finita, la prospettiva di una vita poteva esserci.
E vi dico che la gavetta l’abbiamo fatta a forza di lavori spesso stagionali, a forza di contratti determinati mai sfociati in nulla, pur di non cadere nella trappola dei porta a porta o delle partite IVA non volute ma necessarie per i terribili contratti a provvigione, e in quei lavori stagio-occasionali qualche volta non abbiamo firmato alcunché e ci siamo fidati della parola di qualche buon datore di turno quando andava bene, o di qualche subdolo sfruttatore quando eravamo presi alla gola. Così i nostri fratelli e sorelle minori, talvolta i nostri figli e figlie per chi ne ha avuti, insomma la Gen Z, hanno sentito le nostre storie e hanno avuto più coraggio di noi: finalmente hanno detto no.
Possiamo metter giù ragioni a questo rifiuto del lavoro nel turismo molto a lungo. Benché la sollevazione dei datori stia nell’accusare i giovani di essere svogliati, potremmo fare una semplicissima lista di pro e di contro e dimostrare loro che qualcosa non va, non va da tanto e nessuno vuol metterci una pezza, e non si tratta solo di salario infamemente basso, non è solo il lavorare quando gli altri sono liberi (uno che intraprenda tale percorso già se lo immagina fin dall’inizio).
No. Io vorrei dirvi di provare a fare il cameriere per un mese nella vostra vita, anche se il vostro percorso di vita è diverso, anche se non ne avreste bisogno. Vorrei che capiste cosa significa essere costantemente sottoposti alla maleducazione, alle vessazioni, al dover essere costantemente accorti e diligenti verso richieste spesso irritanti e fuori luogo, per giunta sottopagati e sottoposti a ritmi estenuanti. Vorrei consigliarvi di mettervi dall’altra parte se non ci siete già stati, così che possiate davvero dire: stiamo trattando queste persone com’è giusto che sia? E soprattutto che vi chiediate: è giusto il trattamento che ricevono?
Macinando dati, si parla spesso di aziende che, pur dietro un compenso cospicuo (1600 euro offerti da un pub di Jesolo, leggevo stamani) non riescono a trovare personale. Anch’essi parrebbero vittima della spirale discendente che ha coinvolto l’intero settore; viene da pensare che questi nuovi imprenditori, possibili fautori di un rilancio, siano di fatto vittime a loro volta di tutto quanto è stato e vien fatto nel settore che dovrebbe essere la punta dell’Italia intera.
Lo chiamiamo Bel Paese e “Bel” lo è, ma “Paese”? Chi vuol lucrare sulla bellezza punta solo a gonfiarsi il conto in banca (quando dichiara) e a dimostrazione di ciò emergono i dati della Guardia di Finanza: secondo gli ultimi accertamenti, in ben 7 aziende turistiche su 10 sarebbero state riscontrate irregolarità di natura fiscale, molto spesso per quanto riguarda il lavoro in nero. A fronte di tali dati diventa difficile anche solo cercare di difendere coloro che, sempre spada tratta, si scagliano contro l’indolenza giovanile. “Bel” di certo, “Paese” no, perché un Paese degno di tal nome ripartisce il benessere senza astuzie di bassa lega qual spinare i lavoratori neanche fossero pesci. Con tutto il rispetto per i pesci.
Ora che l’estate è alle porte vien da chiedersi: non è ora di cambiare aria? Non è forse ora di trattare con maggior rispetto tutti quegli esseri umani che rendono semplice una cena al ristorante?
Perché, e non dimentichiamocelo, quando le persone dicono no hanno sempre un motivo.