Un analisi sociopolitica di Giuseppe Mascambruno passando dagli anni 60 arrivando all’episodio di via Buontalenti di ieri sera e sul perchè essere di sinistra
Aio’, la pula : la sinistra ricordando Gaber
Pubblichiamo un editoriale del giornalista Giuseppe Mascambruno sullo scorrere degli anni fino ai giorni odierni:
<Aio’, la pula…>. Avevo sì e no dieci anni nella metà degli anni Sessanta del secolo scorso (e Dio solo sa quanto suona appropriata questa definizione di <secolo scorso>) e con i miei amici di scuola e di zona eravamo soliti giocare a pallone nei giardinetti pubblici, all’epoca ancora abbastanza erbosi, di Piazza Unità d’Italia, tra la Prefettura e l’allora ambito ingresso dei freschi magazzini Standa.
La <pula>, come ben ricordano quelli della mia generazione, erano in particolare i Vigili Urbani, ma capitava che a farci rapidamente sgomberare dal <luogo pubblico> in cui cartelli ben in vista segnalavano che era <vietato il gioco del pallone>, fossero anche carabinieri e polizia. Tutti perlopiù in moto o, soprattutto la municipale, in bici. E come si scappava!Io poi ero terrorizzato, e avevo un motivo in più per esserlo: mio padre era un <appuntato> della Polizia (gradi bassi della gerarchia, si posizionava tra la guardia scelta e il vicebrigadiere), anzi Pubblica Sicurezza come si diceva all’epoca, anche se da tanti anni ormai comandato a fare l’autista del prefetto.
All’epoca non c’era il sindacato e non esisteva il rispetto di contratti, turni e diritti vari. La pratica quotidiana era di stampo militare, si battevano i tacchi e via. Mio padre, orgoglioso di essere un poliziotto, doveva essere ed era a disposizione, come si dice, H24. E spesso per soddisfare, persino nel cuore della notte, anche i capricci privati dei membri della famiglia di <Sua Eccellenza Il Signor Prefetto>. Come si diceva, anzi doveva dire, ogni volta che si evocava quella figura quasi mitologica per noi figli delle divise.
Sono cresciuto così, con questi ricordi, in alcuni casi diventati anche valori. Come il senso del dovere e dell’onore, ma anche il senso dello Stato. Per questo tremavo solo all’idea di farmi fermare dalla <Pula> che, quando il <fugone> non riusciva, arrivava in qualche caso anche a tagliarci il pallone e a prenderci i nomi per avvertire le famiglie. Mio padre non avrebbe sopportato quella sorta di tradimento. E’ anche per queste radici familiari che mi ha fatto particolarmente male vedere tutti i video e le immagini che da ieri sera alle 21,45 si susseguono nel racconto di quanto accaduto in Via Buontalenti. Male per la violenza degli eventi, per la giusta rabbia dei residenti, per la generale indignazione che coinvolge tutti noi cittadini. E male anche per la più che comprensibile protesta nei confronti delle forze dell’ordine, Carabinieri, Polizia e Vigili urbani, arrivate sul posto con evidente e gravissimo ritardo.
Tutti uomini (all’epoca le donne ancora non c’erano) che mi hanno ricordato mio padre, costretti a subire la più umana delle reazioni, compreso l’amara umiliazione degli applausi carichi di rabbia della gente, per quella che appare un’evidente incapacità di gestione dell’ordine e della sicurezza pubblica in città da parte di chi ne ha la responsabilità, Questore e Prefetto. Non sta a me giudicarne l’operato, spero che lo faccia chi ha titoli per farlo, tuttavia la vera e propria guerriglia di Via Buontalenti, vissuta praticamente in diretta sui social, ha dimostrato palesemente che la macchina organizzativa delle forze dell’ordine non ha funzionato.
E che così non funziona. E non solo da ieri sera. Le pattuglie sono arrivate abbondantemente a fatti conclusi, mentre vigili del fuoco e ambulanze erano già sul posto da almeno dieci minuti in condizioni di assoluta mancanza di sicurezza per i loro operatori. E ulteriormente improvvida mi è parsa la scelta finale di inviare tutte le pattuglie disponibili in uno sfavillìo di lampeggianti blu che, a quel punto, inevitabilmente, ha avuto quasi il sapore della beffa. Compreso il furgoncino dei vigili urbani che, pateticamente, sembra sempre lo stesso che incroci accanto all’autovelox della variante. O, come accadutomi stamani, sul Viale Italia a fare multe dalle parti del cancello del ricelebratissimo <Caprilli>. Ovviamente chiuso. Fin qui l’ordine pubblico.
Poi c’è l’aspetto sociale e politico della vicenda. Che investe invece chi ha le responsabilità di governo amministrativo della città. L’attuale sindaco Luca Salvetti è solo l’ultimo arrivato e non trovo giusto buttare tutta la croce addosso a lui. Ma il suo pezzetto ce l’ha. Perchè la <croce> parte da lontano, almeno dagli anni Novanta, decenni di politiche, soprattutto urbanistiche, scellerate compiute dai rappresentanti di un sistema di potere che, nascondendosi dietro le insegne rassicuranti della sinistra storica, non ha avuto alcun scrupolo a barattare l’interesse di pochi con il degrado di tanti. E in questo condivido in pieno l’analisi che, qui su Facebook, fa Stefano Romboli, con grande onestà e lucidità intellettuale. Invito a leggerlo. A Salvetti e alla sua giunta, che continua a definirsi <di sinistra> in una rivendicazione di appartenenza sempre più impercettibile e ormai ridotta a un penoso gioco degli equivoci che sta semplicemente spianando la strada alla destra, caso mai rimprovero l’incapacità o forse la non volontà politica di rompere la spirale ereditata e imposta dal passato oggi rappresentato da un fragilissimo e imbarazzante Pd. Che di sinistra non ha proprio niente. Perchè se volesse essere di sinistra, in questa città, e non da oggi, stando alla storia, vorrebbe dire avere a cuore una visione di riequilibrio delle disuguaglianze profonde che si vanno drammaticamente accentuando. Vorrebbe dire raccogliere in via prioritaria i disagi crescenti che arrivano dai quartieri storicamente più esposti al degrado invece di favorire l’allargamento dello stesso degrado a zone sempre più centrali della città, svuotandole anno dopo anno, mese dopo mese, giorno dopo giorno, di ogni significato e valore: commerciale, sociale, culturale. E quindi anche immobiliare. Perchè l’interesse, economico e politico, di pochi imponeva e impone tuttora di fare così. Perchè essere di sinistra, stando alla storia, per chi ne alza improvvidamente le insegne, vorrebbe dire non leggere, come invece si legge, di scuole che mettono a sorteggio i sogni di ragazzi perchè non ci sono aule a sufficienza.
Di classi che erano e restano <pollaio> anche in tempi di Covid. O di edifici che, a lezioni iniziate, sono ancora fermi con i lavori di riadeguamento se non di messa in sicurezza. Perchè essere di sinistra, stando sempre alla fiabesca narrazione, vorrebbe dire non accettare che Livorno sia l’unica città della Toscana senza una <casa della salute>. Ovvero, ospedale a parte, la sanità del futuro prossimo venturo. Senza contare quel che avviene nell’ospedale in termini di privilegi accordati a poche <baronie> care ai vertici dell’Azienda Sanitaria.Perchè essere di sinistra, e qui la storia, il senso del passato, la sua stessa memoria finiscono, vorrebbe dire avere un briciolo di visione del futuro che si intende dare a questa città. Non la sola, furbesca, soddisfazione del presente che non impegna servita a caro prezzo sul facile piatto dell’edonismo ludico. Che solo un illuso, forse anche in malafede, può immaginare di trasformare in vocazione turistica tale da diventare fonte di reddito e prosperità per i nostri figli e nipoti. Destra, sinistra. Ormai servono solo a rendere omaggio all’intelligenza lungimirante di Gaber.
Giuseppe Mascambruno