Torneremo tutti agricoltori, e sarà la nostra salvezza
Il ritorno alla terra
Forse ha ragione Nietzsche nell’affermare che :”L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta, e tu con essa, granello della polvere…”; forse la storia è davvero un eterno ritorno dell’eguale.
Negli anni ’50 eravamo una terra di agricoltori diventati operai.
Nell’arco di un ventennio gli operai sono diventati impiegati. Il problema sono i figli degli impiegati, cui era stata promessa la luna di un lavoro creativo, senza cravatte, gerarchie, noia. E che, complice la crisi economica, si sono ritrovati, molto più prosaicamente, senza un lavoro. Molti di loro ancora non si sono rassegnati a cercare il loro personale eldorado nella giungla del terziario avanzato. Altri sono tornati al punto di partenza, ai campi e alla terra: nel 2013, le iscrizioni ai dipartimenti di agraria in tutta Italia sono aumentate del 40% circa. Un ritorno alla terra, dunque che osserviamo delinearsi nel giro di vent’anni
Analisi di Coldiretti
Uno storico ritorno alla terra ha portato 22mila giovani under 40 a presentare domanda per l’insediamento in agricoltura nel sud Italia, ma più di 3 richieste su 4 (78%) non sono state al momento accolte per colpa degli errori di programmazione delle Amministrazioni Regionali con il rischio concreto di restituzione dei fondi disponibili a Bruxelles. È quanto emerge da una analisi della Coldiretti in riferimento al rapporto Svimez sull’utilizzo delle risorse comunitarie per i Piani di Sviluppo Rurale (Psr) del periodo 2014-2020 nelle regioni del Sud, al 1/o gennaio 2019.
“Una sconfitta per le speranze di tanti giovani, ma anche per il Paese che – sostiene la Coldiretti – perde opportunità strategiche per lo sviluppo in un settore chiave per la ripresa economica, l’occupazione e la sostenibilità ambientale soprattutto nel Mezzogiorno dove maggiore è il bisogno occupazionale e più elevati sono i tassi di fuga dei giovani come dimostra l’analisi di Svimez sull’emigrazione che supera l’immigrazione al sud”.
Secondo un’indagine Coldiretti/Ixè, continua la Coldiretti, “le aziende agricole condotte dai giovani possiedono una superficie superiore di oltre il 54 per cento alla media, un fatturato più elevato del 75 per cento della media e il 50 per cento di occupati per azienda in più”. “L’Italia – evidenzia la Coldiretti – con 57.621 imprese agricole italiane condotte da under 35 nel 2018 è al vertice in Europa per numero di giovani in agricoltura”.
I numeri di un primato
Come ben racconta l’ultimo rapporto di Fondazione Symbola dedicato all’agricoltura, sono ben 77 i prodotti in cui la quota di mercato mondiale dell’Italia è tra le prime tre al mondo, 23 – pasta, pomodori, aceto, olio, fagioli, tra questi – in cui è la prima. Da noi, un ettaro di terra, produce 1989 euro di valore aggiunto: ottocento euro in più della Francia, il doppio di Spagna e Francia, il triplo dell’Inghilterra.
Altro dato piuttosto sorprendente è la nostra primazia nell’economia delle produzioni biologiche. Nessun paese Europeo ha tanti produttori quanti ne ha l’Italia, che ne può contare ben 43.852, il 17% di tutti i produttori europei. Se allarghiamo lo sguardo oltre i confini continentali, siamo anche sesti al mondo per ampiezza delle superfici a biologico, che crescono a un ritmo di 70mila ettari l’anno.
Chiamatela bioeconomy
Il risultato di quest’eccellenza è il frutto dell’innesto di menti giovani e di pensieri innovativi dentro mestieri antichi: oggi, un’azienda agricola su tre è guidata da persone che hanno meno di trentacinque anni. L’intreccio con nuovi saperi e nuove tecnologie sta davvero cambiando i connotati all’agricoltura: «Un tempo agricoltura era sinonimo di coltivazioni con finalità alimentari, oggi non è più così», spiega Gianluca Carenzo, Direttore del Parco Tecnologico di Lodi, centro di eccellenza nel settore delle biotecnologie e dell’agroalimentare: «Oggi – continua – l’agricoltura è una piattaforma su cui si innestano molteplici tipi di industrie, dalla alimentare alla chimica, dall’energia al tessile».
Ciò di cui parla Carenzo ha un nome: si chiama bioeconomy e comprende tutte le produzioni sostenibili di risorse biologiche rinnovabili e la loro conversione, come ad esempio quella dei flussi di rifiuti in cibo, mangimi, o prodotti bio-based, come le bioplastiche, i biocarburanti e bioenergia. Un macro-settore, questo, che seppur neonato in Italia vale già 241 miliardi di euro e occupa 1,6 milioni di persone. Questo può essere il futuro roseo per il nostro paese, ritornare su quella strada che in passato ci ha regalato tanto.
Fonte: : Coldiretti , Fondazione Symbola
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